Thursday, November 12, 2009

The Twentieth Century


Tina Modotti,Bandolier, Corn, Sickle, 1927

La vera storia di Tina Modotti deve ancora essere scritta. Nonostante le molte autorevoli biografie (in primis quella di Pino Cacucci Tina, Feltrinelli) e i film che le sono stati dedicati.
Nata nel 1896 in una famiglia numerosa e povera di Udine, Tina fu, forse, giovanissima prostituta, poi operaia, teatrante dalla forte carica espressiva e, una volta sbarcata Oltreoceano in cerca di fortuna, attrice del cinema muto. Ma a Hollywood le parti da odalisca e femme fatale ,che le assegnavano per la sua straordinaria bellezza e lo sguardo malinconico, la stufarono presto. Si sentiva chiusa in una scatola. E come tante volte poi farà nella vita, si rimise in cerca. «Aveva una grande sete di conoscere, di sapere, di imparare», diceva di lei il fotografo Edward Weston che diventò il suo amante e la introdusse ai segreti della Graflex.


Ma entrando in contatto con i muralisti messicani e, a Città del Messico, frequentando Diego Rivera e i poeti del movimento estridentista, Tina maturò una forte passione politica. Impegno civile, militanza nelle file del partito comunista messicano, lavoro nella redazione di El Machete e al contempo l’esigenza profonda di trovare una propria cifra espressiva, originale. In questo esplosivo mix Tina Modotti, nell’arco di poco tempo divenne una delle più sensibili fotografe del primo Novecento, regalando alle sue opere un’intensità drammatica e poetica che ha pochi eguali.

Fra i campesinos e i rivoluzionari, i suoi scatti hanno il respiro di un epos potente, calmo, antiretorico. Semplici primi piani di mani di lavoratori, bambini al seno della madre, campi assolati in cui sabbia arida e sassi si trasformano in elementi di un paesaggio vivente e umano, un mare di sombreri nelle riunioni politiche in una piazza dalla forte carica pittorica. Dalle pareti della galleria Photology a Milano, dove fino al 13 novembre è aperta la mostra Sotto il cielo del Messico, e dal catalogo Photology (con testi di Cacucci) le stampe di Tina Modotti oggi ci vengono incontro, con penetrante immediatezza e autenticità. Con un calore che sembra mancare ai raffinatissimi scatti di Weston. Rifiutando l’euforia meccanicistica che la fotografia più progressista conobbe in Europa negli anni Venti e negli Stati Uniti un decennio dopo, Weston e Tina non avevano fatto della nitidezza delle immagini e dell’esattezza il proprio credo. In quegli anni i dettami della nuova oggettività europea imponevano che la registrazione dei fatti fosse esattissima. Mentre i costruttivisti che sposarono la rivoluzione rifiutavano l’opera d’arte individuale, «capitalista» per un’arte collettiva e popolare.

Tina Modotti
E perfino il filosofo Walter Benjamin arrivò a dire che «la creatività della fotografia è la sua abdicazione alla moda dell’espressività». E’ una strada di ricerca completamente diversa, invece, quella che sceglie l’irrequieta Tina Modotti, che passa da un amore all’altro, fedele solo al desiderio, e intanto si butta a capofitto nell’impegno politico e nell’arte. E mentre Edward Weston, dopo la separazione da lei, si darà a raffreddati esercizi formali, ritraendo nudi femminili come forme naturali, fiori e conchiglie, Tina cerca ancora di far risuonare il suo cuore nei ritratti. Stagliato contro il cielo, il profilo del rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella è uno dei più intensi di questi anni. Ma dopo la pallottola stalinista che lo freddò mentre le camminava accanto, Tina cominciò a vacillare. E’ la fine di un grande amore e insieme il crollo di un grande ideale. Nel 1942, dopo vari anni spesi a lavorare oltre la cortina di ferro, Tina Modotti fu trovata morta in un tax a Città del Messico. I veleni della Russia stalinista, da cui aveva sperato di poter scappare, erano riusciti a raggiungerla e a spezzarla.

da Left-Avvenimenti

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